Diciamo che sono una maestra tradizionalista e quasi bigotta, nel contesto didattico, intendo. Sostengo l'importanza della lezione frontale, ho bisogno di controllare spesso che siano tutti seduti-sedutibene. Un bambino che scrive bene scriverà bene anche appeso a testa in giù, per i piedi, al soffitto (come Mattia, autore di questo incomprensibile ma bellissimo disegno), ma un bambino che scrive male scriverà meglio se seduto bene, con la schiena appoggiata alla sedia e la sedia schiaffata sotto il banco e la mano che non scrive a tenere fermo il quaderno perché stia dritto e non sfugga via.
Ma la lezione frontale alle elementari lascia il tempo che trova, ovviamente. Quanto può durare? Quindici minuti. Ma quindici minuti al giorno seduti bene ad ascoltare preparano il campo alle ore infinite ad ascoltare noiosità di gente pseudocompetente alle medie e alla scuola superiore o, ancora peggio, all'università (momento di pessimismo verso l'Istruzione italiana).
Per il resto si può davvero fare di tutto, purché si faccia. E una volta stabilito il rapporto di fiducia tra classe e insegnante si può davvero spaziare. Rodari l'ha dimostrato ma non solo lui, credo che il mondo sia pieno di maestre che impazziscono dalla voglia di entrare in classe e trascorrere un'ennesima giornata a insegnare (o a "imparare", come dice una delle mie nuove colleghe, purtroppo non in senso traslato).
I bambini di oggi però hanno, amplificati, difetti e pregi dei bambini di ieri. Ma se Darwin aveva ragione sono più evoluti e quindi siamo noi adulti a doverci adattare e a doverci smenare per comprenderli.
Secondo me sono più svegli. Sono più ironici (se non addirittura sarcastici). Sono più veloci. Ma sono anche più distratti, più deconcentrati, più smemorati. E tutte queste caratteristiche sembrano proprio il frutto del fatto che sono stimolati da ogni direzione, del fatto che percepiscono quanto il mondo cambi velocemente, è come se avessero chiaro un concetto che noi adulti ancora non accettiamo: il presente dura davvero un attimo, il tempo che sia già tempo di chiamarlo passato (chissà il signor Quinto Orazio Flacco e il signor Lorenzo De Medici come la esprimerebbero, ora, questa faccenda).
Tengo conto di tutto questo quando leggo certi libri interessanti come quello della Bigiaretti, pubblicato nel 2006 ("ben" cinque anni fa) e basato sull'esperienza di una vita di insegnamento e, tra l'altro, ispirato a Rodari:
Per questo gioco sceglievo tra i bambini un direttore di gioco che doveva pensare a una difficoltà ortografica, senza però rivelarla. Se per esempio sceglieva la difficoltà delle 'doppie' doveva inventare e pronunciare una frase dove ci fossero parole con le doppie. Poteva dire "A mia nonna non piace il tè ma piace il caffè". Oppure "Non piace dormire ma piace viaggiare".
I compagni, a turno, potevano fargli delle domande: "Le piacciono i dolci? Le piace la minestra?" e il direttore poteva rispondere "No, le piacciono i biscotti, le piace la pastasciutta". Si proseguiva finché uno dei ragazzi, indovinato il segreto del direttore, gli rivolgeva la domanda giusta, per esempio "Le piacciono le caramelle?"
A questo punto il direttore svelava il suo segreto e il vincitore diventava a sua volta direttore e proseguiva il gioco. Le difficoltà ortografiche potevano essere le più varie: parole con digrammi 'gn', 'sc', 'gli',; parole che contenevano 'mp', 'mb'; parole con i gruppi 'chi', 'che', 'ghi', 'ghe'; parole che iniziavano per vocale o con un raddoppiamento.
M. L. Bigiaretti, La scuola anti trantran, Nuove Edizioni Romane, Roma 2006, p. 54 (qui il suo sito)
Leggendolo pare applicabile. Ma applicarlo implica un lavoro precedente molto impegnativo. Implica disciplina. Abitudine al lavoro di gruppo. Abitudine a concepire il gioco come un premio, se serve. E soprattutto implica che sia già stato fatto molto lavoro sull'ortografia e che questo lavoro sia stato abbastanza assimilato.
I bambini di oggi però hanno memoria brevissima e per sviluppare e sfruttare quella a lungo termine devono avere delle chiavi. Anche noi adulti le abbiamo. Forse paghiamo il prezzo di sapere di poter sapere. Sapere che se ci dimentichiamo una cosa detta o se non abbiamo una nozione importante basta fare slide sull'iPhone, aprire Safari e scrivere una parola mozza su Google. Mi chiedo che senso abbia negare quanto sia fondamentale per il cervello il sapere di poter sapere, quanto cambi le prospettive, le necessità e soprattutto le priorità. Può darsi che questi bambini di seisetteottonovediecianni siano talmente evoluti che questa cosa del sapere di poter sapere la sfrutteranno per devolvere tempo ed energia a cose più importanti che ancora non conosciamo e, paradossalmente, con questo processo molto poco snob ritroveranno il piacere di sapere andando a cercare le cose nella propria memoria e non su Googlesearch. Il buon, caro, vecchio nozionismo tornerà come sono tornate le calze velate con i fiori ricamati.
Questo per dire che servono dei veri e prori "previusly, at II A", come nei telefilm americani, dei riassunti delle lezioni precedenti, quasi ogni giorno, sotto qualsiasi forma: schemi, cartelloni (quanto odio questa parola), rubriche artigianali con le parole chiave in ordine alfabetico.
Fatto questo, si può giocare alla Rodaristyle. Ma che fatica.
In ogni modo, a mia nonna piace davvero tutto, è una soddisfazione guardarla mangiare: tè, caffè, biscotti, frutta, pastasciutta, brioches, anche la più dura difficoltà ortografica non la ferma dal gustarsi una pietanza!
In ogni modo, a mia nonna piace davvero tutto, è una soddisfazione guardarla mangiare: tè, caffè, biscotti, frutta, pastasciutta, brioches, anche la più dura difficoltà ortografica non la ferma dal gustarsi una pietanza!