Ieri ho finito di leggere un libro davvero cazzuto.
Cazzuto va inteso nel suo significato, per quanto di derivazione un po' scurrile, di "cosa con gli attributi".
Per questo sono tornata a scrivere nel mio spazio pubblico che tutti possono leggere.
Il libro in questione è Farfalle in un lazzaretto. L'ha scritto Camilla Ronzullo, una ragazza di Milano che conosco da pochissimi anni e solo attraverso il suo blog che senza rifletterci troppo posso definire nella top5 dei miei preferiti.
Io credo nelle affinità elettive, i miei amici Jacopo e Leo possono confermarlo perché me lo hanno insegnato loro. Le affinità elettive sono assolutamente imprevedibili e slegate da qualsiasi categoria di rapporto umano, sono una cosa a sé.
Le persone con cui posso dire di avere un'affinità elettiva sono davvero pochissime e sono anche costretta a dire che sono ancora più poche se considero il fatto che l'affintà elettiva è reciproca o non è (quella del non-essere-se è questione filosofica che sembra banale e invece è stracomplicata).
In ogni modo quello che mi ha legata a Camilla è proprio un'affinità elettiva e quindi la mia opinione sul suo libro è di certo sporcata dal pregiudizio positivo ma allo stesso tempo, prima di leggerlo, ero molto in ansia per tutte le aspettative che avevo in lei perciò mi ero preparata al peggio per non soffrire nemmeno un poco. Avevo il terrore che non mi piacesse, credevo che ci avrei trovato una contraddizione con l'idea che mi ero fatta di lei leggendola quasi ogni giorno da molto tempo. Insomma ero pronta a una smutandata da cui potevo uscire con un'idea completamente diversa.
E invece no, Farfalle in un lazzaretto è l'ennesima conferma che Camilla è, come immaginavo, un'eccellente scrittrice oltre che una donna meravigliosa, una donna meravigliosa oltre che un'eccellente scrittrice.
Vorrei citare Pirandello per non fare la figura di quella che non ce l'ha visto dentro, vorrei citare Vittorini per tirarmela, vorrei dire che è una delle poche scrittrici donne dei nostri giorni che ho letto che non mi ha fatto venire il latte ai ginocchi.
E leggendo ho pensato tante altre cose da dire, perciò per non pensare troppo alla sintassi, dato che sui blog non va poi neanche di moda, farò un elenco-streamofconsciousness.
Il personaggio di Cesare mi faceva ridere mentre leggevo. Il modo in cui è tratteggiato è meraviglioso, se insegnassi al liceo farei leggere il libro anche solo per fare una lezione sul ritratto scritto.
Ci sarebbe da copiare-incollare tutti i pezzi in cui compare e metterli uno di seguito all'altro: dimostrerei ai miei studenti che per descrivere un personaggio non basta parlare direttamente di lui ma bisogna farlo parlare e agire e osservare dagli altri personaggi per disegnarlo in 3D.
Il linguaggio di Camilla se avesse un colore sarebbe trasparente e se fosse una parola sarebbe "diacronico".
Trasparente perché non ha dietrologie, non punta a ostentare se stesso o un qualcosa e questo sottovalutatissimo saper usare la lingua come uno strumento per raccontare produce l'effetto di entrare in un quadro. Intendo che quando leggo un libro scritto in un italiano normale e perfetto mi sento come i due bambini protagonisti del film Mary Poppins nel momento in cui saltano nel quadro disegnato per terra col gesso dallo spazzacamino.
Diacronico perché prende un po' in ogni dove letterario e senza fanatisimi usa anche espressioni attualissime tradendo una cultura trasversale ma organizzata, non un pastrocchio mentale indistinto. Il nostro amico pedagogista Werner direbbe che Camilla ha superato la fase dell'indifferenziazione psichica e quindi è normale, invece io penso che in chi lavora con le parole sia una dote rara.
Le digressioni sono fatte a regola d'arte. Voglio solo dire che sono uscita da ogni digressione e quindi tornata, nella lettura, sul binario della trama, pensando con ammirazione alla capacità di Camilla di gestire le proporzioni nel suo libro. La durata di ogni digressione era giusta, né troppo lunga né troppo breve, mi rimetteva sul filo dei fatti che stavano accadendo proprio quando mi veniva voglia di tornarci. Anche con questa roba ci farei una lezione, magari per spiegare al rapporto che hanno, sulla linea del tempo, l'imperfetto indicativo e il passato prossimo per esempio: è lo stesso rapporto che ci dovrebbe essere tra digressioni e avanzamento della trama in in un romanzo.
La realtà e la fantasia in Farfalle sono intrecciate benissimo e non superano mai il limite del surreale, ma questa è solo una questione di gusto personale dovuto al fatto che, di base, io sono una persona abbastanza pratica.
Siccome ho visto sui social che in molti hanno sottolineato dei pezzi di Farfalle in un lazzaretto, mi sono fatta suggestionare e una volta l'ho fatto anche io. In realtà ho smesso di sottolineare i libri solo pochi anni fa quando sono capitata su un pezzo di una lettera in cui Umberto Boccioni diceva con sarcasmo che l'abitudine della Aleramo di aggiungere le sue "postille e i segni vicino ai periodi sublimi" gli "dava le convulsioni", anche se poi ho scoperto che anche Boccioni quando s'innamorò diventò un po' rammollito e quindi non mi vergogno più della mia indole sottolineatrice, dato che m'innamoro di libri di continuo.
Ho sottolineato una frase, a pagina 96, che è il manifesto di quello che io vedo in Camilla e nel suo libro e che trascrivo per chiudere questo lungo e delirante post. Non leggettevi la morale, in questa citazione di Farfalle: siamo nel territorio dell'etica che al contrario della morale è sempre sottointesa, quando c'è.
Il modo conta. Sì, il modo conta proprio…
L'intenzione per me vale quasi quanto più del risultato. Questo genere di approccio alle cose non dà soluzioni, è vero, ma allena alla ricerca del sorriso nel piccolo.
L'intenzione per me vale quasi quanto più del risultato. Questo genere di approccio alle cose non dà soluzioni, è vero, ma allena alla ricerca del sorriso nel piccolo.
non sbraitare: sei stata nominata sul mio blog per ritirare un premio!
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