L’istinto materno di sicuro esiste. Ormai ne sono convinta anche io. Ma non è una cosa generica che tutti hanno, è una linea di connessione unica di madre verso il proprio figlio, un senso di comprensione e azione che è automatico e si scatena per forza tra due persone, madre e figlio, che vivono a stretto contatto ogni giorno, ogni ora, nel primo mese di vita addirittura ogni minuto.
Ma io credo sia una buona idea anche seguire anche qualche dritta pedagogica appresa dopo aver vagliato il marasma di materiale sul figliame e aver scelto la visione più vicina alla propria, perché è chiaro che non esiste un metodo giusto ma il metodo giusto è quello che un genitore riesce a seguire con più naturalezza e anche con più convinzione.
Io propendo per la corrente che insiste sul non eccedere con gli stimoli, e vi propendo per via della mia esperienza di insegnante di scuola primaria. Lo so che un neonato non è paragonabile a un bambino di sei anni che impara a leggere e scrivere, ma anche un bambino di sei anni che impara a scrivere è un’altra cosa rispetto a uno di sette che, ormai padrone del territorio-scuola e con alle spalle il suo primo e faticoso anno di carriera, si appresta a imparare a memoria le tabelline. Tuttavia la società piena di input di ogni tipo è la stessa per un neonato, per un bambino e per un adulto e, contestualizzando ogni volta, posso dire che nella nostra società non c'è carenza di stimoli o difficoltà a reperirne ma è più difficile trovare uno spazio di tranquillità al riparo dagli input che, negativi e positivi, ci bombardano senza soluzione di continuità.
Mi arrabbio ma mi trattengo a fatica dal manifestarlo quando qualcuno sveglia Teo parlandogli a pochi centimetri dal suo viso. Mi arrabbio e mi trattengo a fatica dal manifestarlo quando qualcuno vede Teo guardarsi intorno tranquillo e comincia a chiamarlo animatamente, facendogli notare questa o quest’altra cosa a voce alta (e alterata alla Teletubbies, ovviamente), e magari addirittura lo prende in braccio e lo sbatacchia per farlo divertire il più possibile.
Ecco nel primo caso da una fase di dormiveglia Teo, che sta cercando di addormentarsi con i propri mezzi (ovvero ascoltando le voci attorno a sé, rilassandosi) passa a una fase di veglia agitata senza nemmeno passare dal via e in pochi secondi piange disperato. Dopo quei pochi secondi l’adulto che l’ha svegliato è già a altrove soddisfatto del proprio operato e io subentro perché a tutti i presenti, esperti di prima infanzia, è chiaro che il motivo del pianto è che è nervoso/ha fame/ha fatto la cacca. Non che voleva un attimo farsi gli affari suoi.
Nel secondo caso, quando Teo è in fase di veglia tranquilla e si guarda intorno, soprattutto se si trova in un posto nuovo oppure a casa e sente anche voci di persone diverse da mamma e papà e qualche adulto lo sovrastimola o addirittura lo prende in braccio perché “finalmente si è svegliato”, viene disturbato in una fase fantastica e importantissima per la sua crescita e per il suo apprendimento, fondamentale quanto il sonno e il pasto. Questa fase di veglia tranquilla in cui lui può guardarsi intorno e ambientarsi, vedere le luci e goderne, associare qualche visione, seppur sfocata, alle voci che sentiva nel dormiveglia prima di aprire gli occhi, apprendere quali sono i suoi bisogni (mangiare o essere cambiato, o chiedere un po’ di coccole) viene interrotta da chi ha deciso di dargli degli input che lui non aveva ancora chiesto, che addirittura lo innervosiscono, interrompono il suo idillio con l’ambiente che lo circonda, lo confondono.
Perciò che sia istinto materno o pseudocompetenza, io credo che neonatissimo vada assecondato nelle sue esigenze, e portato a pendere verso il sonno se sta cercando di addormentarsi e verso l’interazione se è sveglio, ma senza sovraccaricaricarlo di stimoli sensoriali rivolti a lui, piuttosto proponendoglieli in maniera indiretta, con una musica, alzando o abbassando le luci, spostandolo in un luogo più stimolante o più tranquillo a seconda delle sue necessità che lui ancora non può esprimere.
Ma io sì.
* Illustrazione di Ilaria Meli tratta dal libro Di cose
invisibili di Simonetta Angelini (Edizioni Alberto Niro 2013)