domenica 15 aprile 2012

IN FISSA CON IL PORTASAPONE

Com'è noto la mia vita è molto frivola, soprattutto ora che nella nuova casa ho molto spazio a disposizione: leggo libri nella vasca da bagno, riviste sul divano, fumetti della Bonelli nel letto e sussidiari sul tavolo del soggiorno. Oltre a questo un paio di settimane fa ho scambiato dieci camicie da stirare con un paio di sandali di Zara tacco 11 e oggi mi sono fatta un giro al mercatino dell'antiquariato di Scrausi (come in questo post) in cerca di cornici scrause e scrausi portasapone, perché di fatto i pensieri che mi tormentano non sono certo aspettative illusorie sul mio lavoro futuro (no no, se mi arrivano prontamente apro VanityFair e voila! tutto passato) ma quali piattini da caffè usare come portasapone per i nostri tre (treeee) lavandini.


Nel frattempo, a proposito di cose meno fivole, ci siamo con il giveaway: spero che stasera Cecco riesca a scegliere la cartolina da spedire.





mercoledì 11 aprile 2012

INTRODUCING MY NEW HOME OVVERO L'ESERCIZIO DELLA DESCRIZIONE

Sono seduta nel mio ufficio. Mi piace pensarla così, perché qui lavoro quando non lavoro (pensiero un po’ calvinista, come le mie finestre), e finalmente, dopo tanti anni, mi sento a casa anche fisicamente.
Non pensavo che avrei potuto sentire mia, e dopo poco più di una settimana, una casa in affitto. Ma forse gli oggetti ci appartengono non solo quando si comprano. Anche quando qualcuno ce li presta, come nel caso di questa casa, in cambio di un compenso, anche quando ce li regalano o quando li adottiamo dopo che sono stati abbandonati  o quando ci accompagnano per un certo periodo e poi ci lasciano, e in tanti altri modi che il destino s’inventa.
In sostanza questa casa mi appartiene e probabilmente, dato che appartiene anche al mio coinquilino, mi appartiene due volte perché lui mi presta sempre le cose sue.
Questo angolo di casa dove posso pensare benissimo è, banalmente, il soggiorno. Potrei filosofeggiare a lungo sulla disposizione della zona giorno, incartarmi in discorsi sulla continuità degli ambienti che favorisce la continuità tra i compartimenti mentali. Ovvero l’ingresso, che ospiterà due librerie, è collegato al soggiorno da un arco (di quelli in muratura, artificiosi, che andavano di moda fino a dieci anni fa), il soggiorno è a sua volta collegato alla cucina da una porta a scomparsa di legno e vetro che apre o chiude metà della parete.
Siedo su una amata Ivar di Ikea, dipinta in alcune parti di bianco, e il tavolo a cui m’appoggio è ancora quello della vecchia casa: due cavalletti color legno e una tavola bianca. Se alzo lo sguardo vedo dalla finestra solo chiome di piante, come fosse un quadro fatto da me alle medie a lezione dal professorpittor Gualtiero Gualtieri (giuro). Ai lati della finestra, bianca, due tende, bianche anch’esse, di cotone molto leggero che sarebbero forse più adatte a una camera da letto. Sotto la finestra c’è il termosifone, a destra una parete bianca e a sinistra, in basso, una pila di libri di arte sottolineati all’università con sopra una Sanseveria in un vaso, bianco, che era di una vecchia pianta che ho involontariamente ucciso.

Questa è la mia “Descrizione”, ovvero l’esercizio che stanno facendo i bambini in seconda e in terza elementare. Volevo provare anche io, come loro, l’ebrezza di fare un compito a casa, del tipo Descrivi quello che vedi dalla tua finestra, perché proprio l’altro giorno, mettendo a posto i libri, mi sono imbattuta in Compiti a casa, di Philippe Meirieu, pubblicato da Feltrinelli nel 2002. Mi sono sentita in colpa perché l’ho letto solo in alcune parti: un argomento così importante lo avevo sottovalutato, prima di iniziare a essere una supplente di mattina e un’insegnante di doposcuola di pomeriggio. 
Allora prometto a me stessa che lo leggerò al più presto e comincio a immedesimarmi in un alunno che deve fare un compito. Una sorta di teatro nel teatro, mi dico per convincermi che è un esperimento interessante.







INTRODUCING my NEW HOME, i.e. a writing exercise


I'm sitting in my office. I like to think it this way, because here is where I work when I don't work (a sort of  Calvinist kind of thought, as much as my windows are), and at last, after many years, I feel at home physically as well.
I had never thought I could actually feel that a house for rent could be mine,and just after a bit longer than a week.
But maybe objects don't only belong to us when we buy them. Even when someone lend them to us, as much as for this house, in return for a payment, even when they give them to us as a present or when we adopt them after they have been abandoned or when they are with us for a period and then they leave us, and in many other ways that fate makes up.
In essence this house belongs to me and probably, since it also belongs to my flatmate, it belongs to me twice because he always lends me his stuff.
This corner of the house where I can clearly think over is, as simple as it may sound, the living room. I could philosophize forever about the layout of the living area, get lost in wonders about continuous rooms, which favor continuous mental behaviors. That means that the hall, where there will be two bookcases, is connected to the living room through an arch (the kind of ones made of bricks, artificial, on fashion up to some years ago), in its turn the living room is connected to the kitchen through a sliding door made of wood and glass, which opens or closes half of the wall.
I'm sitting on a beloved Ivar from Ikea, partly painted in white, and the table I'm leaning on is still the one from the old house: two wood-colored trestles and a white board. If I look up I can see only trees foliage from the window, as if it were a painting I made myself at middle high school during painterprofessor Gualtiero Gualtieri's class (that's his real name).
To the sides of the white window, two curtains, white as well, made of really light cotton which might be more suitable for a bedroom. Under the window there is a heater, on the right a white wall and on the left, down below, a heap of books which had been underlined at university and on top a Sansevieria in a pot, white, which belonged to a previous plant I accidentally killed.

This is my "Description", that is the exercise the children in 2nd and 3rd grade elementary school are doing.
I wanted to try myself, just like them, the thrill of doing some homework, the kind of Describe what you can see from your window, because just the other day, while I was putting away books, I came across Homework, by Philippe Meirieu, published by Feltrinelli in 2002. I felt guilty because I had only read some parts of it: I had underestimated such an important topic, before being a substitute teacher in the morning and a school club teacher in the afternoon.
That's why I promise I'll read it as soon as possible and I've started to identify myself with a pupil who needs to do their homework. A sort of theatre in the theatre, I keep saying it to convince myself that this is an interesting experiment. 


martedì 10 aprile 2012

RITORNO A PEYTONVAJANICA

Ancora le cose non sono come devono essere, qui nella nuova casa. Manca la libreria dei cd e quella dei libri, la palla-disco non ha ancora capito dove vuole stare per riflettere meglio la luce con i suoi specchiettini, nemmeno Mio Morbidus ha deciso come sistemarsi. E tra le altre cose abbiamo scoperto che il signor Fastweb perde la sua fastità nel trasloco e quindi solo tra un mese riavremo il telefono e la connessione. 
In ogni modo c'è sempre la famiglia Mac in soccorso ed è bastato collegare telefono e computer per tornare qui con qualche immagine di ieri a Peytonvajanica, dove il vento e le brasciole hanno fatto da padrone.










Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...